PERCHÉ È NECESSARIO VOTARE NO?
30/10/2016, diinabandhu sevananda
Ti bastano i due elementi evidenziati sulla banconota
per farti riflettere, approfondire, comprendere?
Alcune info di base sull’emissione monetaria
e le sue implicazioni col referendum del 4 dicembre 2016
– Perché è NECESSARIO VOTARE NO! – #iovotono #iodicono
«Per farti ingoiare una vera schifezza, ti spaventano con un’alternativa ancor peggiore
perlopiù inventata, fasulla e terrificante» (diinabandhu sevananda).
Le 500 lire di carta erano dello Stato, erano nostre, non dovevamo restituirle a nessuno e nessuno ci chiedeva interessi a fine anno. Sulla banconota era impressa la scritta “Repubblica Italiana – Biglietto di Stato a corso legale“. Le firme erano del Direttore Generale del Tesoro e del Cassiere Speciale, con il visto della Corte dei Conti. Su di esse non era presente la scritta “Banca d’Italia“ (Ente con quote detenute da soggetti privati per oltre il 90% delle quote societarie, per cui non controllato dallo Stato). Su tutte le altre banconote/lira veniva specificata l’emissione da parte della Banca di Italia; le firme erano apposte dal Governatore e dal Cassiere.
Le banconote emesse dallo Stato non produrrebbero per nulla debito pubblico (unico esempio italiano è stato, appunto, la banconota da 500 lire, voluta dal grande statista Aldo Moro).
In questo caso lo Stato non sarebbe mai privo di risorse per gestire al meglio la spesa pubblica, disponendo della Sovranità Monetaria, ovvero della facoltà (ceduta a nostra insaputa alle banche centrali private) di stampare a costo zero, senza indebitarsi, di tutto il denaro necessario per pensioni, sanità, scuola, servizi, trasporti, assistenza, sostegno al reddito, e tutto il resto per cui paghiamo le tasse, che invece vengono sempre più dirottate al rimborso degli interessi sul debito pubblico, generato dalla schiavitù monetaria ora globalizzata a livello europeo con l’introduzione dell’euro.
Le banconote (lire o euro) della Banca d’Italia (Bankitalia SpA) o della BCE, al contrario sono emesse a nostro debito; per questo motivo esse non sono di proprietà dello Stato e neppure di proprietà del detentore, o portatore. Tali banconote sono a noi -privati e Stato- concesse in prestito. Quindi tali banconote, sommate al cosiddetto “denaro elettronico“, rappresentano il debito pubblico in conto capitale.
Gli interessi dovuti alle banche per tali prestiti, producono un’incessante e crescente aumento del debito, soprattutto perché si tratta di interessi composti (interesse su interesse, sommati al capitale iniziale).
Questa formula induce una spirale ascendente in crescente accelerazione del debito, che alla fine diventa insostenibile, come possiamo constatare sulla nostra stessa pelle.
È bene precisare che le banche emettono denaro con una copertura minima rispetto all’emissione.
È bene anche sfatare il mito dell’oro che, secondo alcuni, coprirebbe l’emissione. La copertura in oro in rapporto alla quantità di denaro emesso arbitrariamente dalle banche centrali, è paragonabile a un granello di sabbia in una spiaggia chilometrica.
DUNQUE, PERCHÉ È NECESSARIO VOTARE NO?
Più sintetico di così non sono riuscito a essere.
Se non ci credete, non vi resta che approfondire, ragionare, riflettere, documentarvi … e sviluppare associazioni intellettive ampie e intelligenti.
diinabandhu sevananda
#iovotono
REFERENDUM: La nuova Costituzione sponsorizzata dalle banche
Neppure Mussolini avrebbe osato tanto
Fonte, Youtube: La7 Attualità
«Le riforme di Renzi? Sono state scritte da una grande banca d’affari americana, la JP Morgan. E sapete perché? La nostra costituzione è troppo socialista, garantisce “la protezione costituzionale dei lavoratori” e “il diritto della protesta contro i cambiamenti dello status quo politico“. È tutto scritto in un documento pubblicato il 28 maggio 2013. Non è uno scherzo. Parola di Nessuno».
NEPPURE MUSSOLINI AVREBBE OSATO TANTO
Fonte: Loretta Mugnaini, Facebook
Nessuno ne parla ma è sconcertante! È fondamentale farlo sapere.
CONDIVIDI! Neppure Mussolini avrebbe osato tanto!
Referendum, la CAMPAGNA DEL NO punta su JP Morgan:
«loro hanno chiesto la riforma, ecco come».
Pubblicato: 16/05/2016 12:35 CEST Aggiornato: 16/05/2016 15:15 CEST
Mentre Matteo Renzi punta quasi tutta la sua campagna per il sì al referendum costituzionale sul messaggio dei tagli ai costi della politica e mentre si prepara a indire la consultazione in due giorni (oggi in consiglio dei ministri), anche i vari comitati per il no affilano le armi e scelgono il loro cavallo di battaglia. Un nome: J. P. Morgan, la società finanziaria ritenuta responsabile della crisi dei mutui subprime del 2008, secondo l’inchiesta della procura di New York. Ebbene i costituzionalisti del comitato No Triv, parte attiva anche nella campagna per il no al referendum di ottobre, hanno ripreso un documento di J. P. Morgan del giugno 2013 sull’area Euro (‘The Euro area adjustment: about halfway there’). E concludono: “Sono loro che chiedono le riforme, le stesse istituzioni finanziarie che hanno provocato la crisi del 2008. Non le chiedono gli italiani. E non è vero ciò che dice Renzi e cioè che ‘le facciamo per noi, non perché ce le chiede Berlino o Bruxelles…’”.
Il documento di J.P. Morgan in parte riprende le argomentazioni della lettera della Bce al governo Berlusconi nell’estate del 2011, sostiene la necessità di una unione bancaria e anche l’opportunità di creare ‘Eurobond’ per la zona euro. Pur ammettendo che: “Secondo noi, è improbabile che la Germania accetti gli eurobond senza cambi significativi nelle costituzioni politiche nei paesi periferici”. Una discussione molto attuale se si pensa al ‘migration compact’, la proposta italiana sull’immigrazione che prevede eurobond per l’Africa.
Ma il passaggio sul quale i referendari per il NO si soffermano è il seguente:
“I sistemi politici nelle periferie sono nati dopo le dittature e sono stati definiti con l’esperienza delle dittature. Le Costituzioni mostrano una forte influenza socialista, che riflette la forza politica che i partiti di sinistra hanno guadagnato con la sconfitta del fascismo. I sistemi politici nelle periferie mostrano parecchie delle seguenti caratteristiche: esecutivi deboli; stato centrale debole nei rapporti con le regioni; protezione costituzionale dei diritti dei lavoratori; sistemi di consensi basati sul clientelismo; e contemplano il diritto alla protesta contro i cambiamenti allo status quo politico. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I Paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle Costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)”.
Quindi la conclusione:
“Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinsechi avessero natura prettamente economica (…) Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”.
Dimostrare che sono le istituzioni finanziarie colpevoli della crisi di sei anni fa, ancora tutt’altro che risolta, sarà il cavallo di battaglia dei vari fronti per il no al referendum di ottobre, tanti e diversi ma con un unico obiettivo in questa battaglia contro Renzi.
Fonte/Link attivoFuori dall’euro si cresce, l’Ue impoverisce i popoli
La denuncia del Telegraph
La catastrofe, da economica, sta diventando sociale.
C’era una volta il grande sogno di un’Europa unita, di una federazione che prendesse il posto dei piccoli interessi nazionali, di una potenza politica ed economica che potesse finalmente azzerare i conflitti interni – che avevano portato a ben due guerre mondiali sul suolo del vecchio continente – e che potesse porsi come terza potenza fra il blocco filo-americano e quello filo-sovietico. Poi qualcosa è cambiato, e sulle linee politiche hanno prevalso le logiche economiche e finanziarie, e l’Europa unita è divenuta “una macchina per l’impoverimento dei popoli”, secondo una sconsolata analisi degli inglesi del Telegraph.
DISASTRO SOCIALE – Il commento (tradotto dal sito Vocidallestero) è di Matthew Lynn, e traccia un quadro impietoso di ciò che è accaduto in questi anni e di ciò che potrà accadere nei prossimi. «Ormai siamo tutti annoiatamente consapevoli di come l’eurozona sia stata un disastro finanziario – si legge -. Ma ora inizia a diventare evidente che essa è anche un disastro sociale. Quello che spesso viene omesso dalle discussioni sui tassi di crescita, sui bail-out e sull’armonizzazione bancaria è che l’eurozona sta diventando una macchina di impoverimento. Mentre la sua economia è in stagnazione, milioni di persone stanno cadendo in uno stato di vera e propria deprivazione. I tassi di povertà sono aumentati vertiginosamente in tutta Europa, sia che li si misuri in termini relativi che in termini assoluti, e gli aumenti peggiori si sono verificati all’interno dell’area che adotta la moneta unica. Non potrebbe esserci un atto d’accusa più scioccante del fallimento dell’euro, o un promemoria più potente che gli standard di vita cominceranno a migliorare solo se la moneta unica verrà sottoposta a riforme radicali, o smantellata».
DIFFERENZE – L’analisi si sposta poi sui dati pubblicati da Eurostat riguardo il tasso d’impoverimento dei paesi dell’Unione.
«Tra i 28 membri dell’Unione, cinque Paesi hanno sperimentato una significativa crescita di questo valore, paragonato con l’anno del crollo finanziario. In Grecia il 35,7% della popolazione rientra in questa categoria, rispetto al 28,1% del 2008. Un incremento di 7,6 punti percentuali. A Cipro l’incremento è stato di 5,6 punti percentuali: ora il 28,7% della popolazione è classificato come ‘povero’. In Spagna tale valore è aumentato di 4,6 punti percentuali, in Italia di 3,2 punti, e persino il Lussemburgo, difficilmente considerabile un Paese a rischio di deprivazione materiale, ha visto il tasso di povertà salire al 18,5% dal 2008, in aumento di tre punti. Ma la situazione non è così tetra dappertutto. In Polonia, il tasso di povertà è sceso dal 30,5% al 23%. In Romania, Bulgaria e Lettonia, ci sono state considerevoli riduzioni della povertà rispetto ai valori del 2008 – in Romania, ad esempio, la percentuale e scesa di sette punti, raggiungendo il 37%. Cosa c’è di diverso tra i Paesi nei quali la povertà è aumentata in modo drammatico, rispetto a quelli nei quali è diminuita? Avete indovinato. Gli aumenti più significativi del tasso di povertà si sono tutti verificati in Paesi all’interno della moneta unica. Ma le diminuzioni sono state tutte nei Paesi al di fuori di essa».
«La Grecia – prosegue l’analisi – sta inevitabilmente scalando la classifica, con il 22% della sua popolazione che ad oggi è in stato di “grave deprivazione materiale”, rispetto a al solo 11% del 2008. In Italia, un Paese che vent’anni fa era prospero come qualsiasi altro al Mondo, uno scioccante 11% della popolazione si trova oggi in stato di “deprivazione materiale”, paragonato col 7,5% di sette anni fa. In Spagna il tasso di deprivazione è raddoppiato, e a Cipro è aumentato di più del 50%. Eppure, se si analizzano i Paesi al di fuori della moneta unica, si scopre che al loro interno quel tasso è sostanzialmente stabile (come nel Regno Unito, ad esempio) o sta diminuendo a velocità di tutto rispetto – nella Polonia attualmente in rapida crescita economica, ad esempio, il tasso di persone in stato di “deprivazione materiale” si è dimezzato negli ultimi sette anni e, al 7,5% odierno, è molto più basso di quello registrato in Italia».
PARADIGMA DI UN FALLIMENTO – «L’UE si è fissata l’obiettivo di ridurre in maniera significativa i principali indicatori di povertà entro il 2020. Sta fallendo miseramente. Anzi, ancora peggio: sta diventando lampante che una delle sue principali politiche, cioè la creazione dell’euro, assieme ai vari ‘programmi di salvataggio’, fiacchi e malriusciti che l’hanno tenuto insieme a malapena, è ampiamente responsabile di questo fallimento. È difficile pensare che esista un’altra spiegazione plausibile per la netta differenza tra il tasso di povertà dei Paesi all’esterno dell’eurozona e quello dei Paesi al suo interno. Perché la Grecia o la Spagna dovrebbero essere in uno stato così drasticamente peggiore di un qualsiasi Paese dell’Est Europa? E perché l’Italia dovrebbe passarsela peggio del Regno Unito, quando i due Paesi si trovavano a livelli di ricchezza sostanzialmente simili durante gli anni novanta? Non è difficile capire che cosa sia successo. In primo luogo, un sistema valutario disfunzionale ha strangolato la crescita economica, facendo crescere la disoccupazione a livelli precedentemente impensabili. In seguito, dopo che alcuni Paesi sono andati in bancarotta e hanno avuto bisogno di aiuti finanziari, l’UE, assieme alla BCE e al FMI, ha imposto pacchetti di austerità che hanno drasticamente tagliato welfare e pensioni. Con queste premesse, non c’è da sorprendersi che la povertà sia aumentata».
«Nei mercati finanziari – prosegue Lynn – ci si concentra all’infinito sullo stato dei sistemi bancari all’interno dell’eurozona, sulla crescita dei deficit di bilancio o sui rischi della deflazione e dei disastrosi effetti che essa potrebbe causare sui prezzi delle attività finanziarie. Ma, in ultima analisi, la crisi finanziaria non è così importante. Ad essa si può rimediare con i bail-out, o stampando più denaro. E anche se non fosse possibile, ciò significherebbe semplicemente che alcune banche o fondi d’investimento si troveranno in cattive acque. Ma il fatto che i livelli di povertà stiano crescendo ad un ritmo così veloce in quelle che un tempo erano Nazioni floride è scioccante. E non c’è alcuna avvisaglia che questa crescita stia rallentando – in alcuni Paesi come la Grecia o l’Italia, la crescita della povertà sta addirittura accelerando. Quelli che una volta erano Paesi estremamente poveri (come la Bulgaria) o Paesi a reddito medio (come la Polonia), stanno rapidamente sorpassando quella che una volta era considerata l’Europa sviluppata».
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Grandissima signora Gina!
Fosse tutto intelligente come te, il resto del “popolino” italiano.
Hai proprio ragione, basta una virgola per fregarci tutti quanti.
#iovotono #iodicono
Approfondimenti su LiberaMenteServo: CLICCA QUI
https://youtu.be/LZZQ0yU39Ys
https://youtu.be/CFG8beIVGBc
Stefano Rodotà torna a criticare le riforme Renzi:
«Con una Camera il governo dominerà sul Parlamento»

«È impossibile disconnettere Camera e Senato, che si implicano direttamente. Il modo in cui si combinano rappresentanza, pluralismo e governabilità definisce infatti la coerenza interna del sistema». Stefano Rodotà torna alla carica e lancia un attacco durissimo alle riforme del premier Matteo Renzi, Senato in primis.
«Il vero oggetto del contendere è ormai l’abbandono del pluralismo costituzionale come elemento costitutivo della forma di Stato e di governo della Repubblica», ha detto il costituzionalista nel corso della sua audizione in commissione Affari costituzionali del Senato, chiamato come esperto in merito al disegno di legge di Riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione.
«Se una Camera fosse effettivamente rappresentativa e garantisse l’equilibrio, allora anche una riduzione del Senato a una funzione simbolica o addirittura una sua cancellazione potrebbero non avere effetti dirompenti sul sistema. Ma noi siamo di fronte all’opposto, abbiamo una Camera ipermaggioritaria; da una democrazia rappresentativa passiamo a una di investitura con logica ipermaggioritaria, seguita dal dominio del governo sul Parlamento».
«Per rafforzare la funzione di garanzie» – ha proseguito il giurista – «occorre permettere al Senato di dare un parere vincolante sul bilancio, sui conflitti di interesse, sulla convalida delle elezioni, le commissioni d’inchiesta e le nomine. Tutte queste garanzie sarebbero vincolate perché fuori dalla logica maggioritaria».
Non sono mancate le critiche all’Italicum, accusato di “produrre effetti distorsivi“. Secondo Rodotà, il patto Berlusconi-Renzi «è fondato su proposte che traducono accordi politici volti a garantire i contraenti del patto, con effetti di esclusione e di riduzione della rappresentanza, che vanno al di là dell’intento di evitare frammentazione e garantire la governabilità. Una scelta – ha aggiunto il giurista – conservatrice, in continuità con la precedente legge elettorale, con dubbi ancora di costituzionalità».
Riforma del Senato, Rodotà: “Testo sgrammaticato, rimango molto critico”
LA COSTITUZIONE ITALIANA È INTOCCABILE!
Caro Roberto, che delusione sentirti perorare la causa del SI. Addirittura definire l’eventuale vittoria del NO “peggio della Brexit”, che delusione, che vergogna. Proprio tu che hai rappresentato uno splendido spettacolo in Rai, seguito ed applaudito da milioni di italiani, sulla nostra Costituzione Italiana (25 Giugno 1946), decantando e lodando le qualità della stessa. Hai descritto i nostri padri costituenti come persone di alta qualità morale e politica, persone speciali, integerrime, che hanno dovuto affrontare una guerra durissima ma, dalla quale, ne sono usciti temprati e arricchiti di esperienza, poi divenuta indispensabile per renderli gli unici in grado di scrivere la nostra Costituzione, così come oggi la conosciamo e che, come tu stesso hai detto, invidiata e presa ad esempio in tutto il mondo come la migliore. Ora, un uomo NON ELETTO, NOMINATO, cerca di modificarla, chiaramente peggiorandone alcuni contenuti, chiaramente modificandone alcuni aspetti nel miserabile tentativo di renderli utili al suo interesse e della sua parte politica, aumentando lo strapotere dei politici in sfavore dei cittadini italiani, in totale mancanza di rispetto degli stessi che dovrebbe rappresentare ed altro ancora.
Che delusione Roberto, che delusione, personalmente ritengo che i nostri padri costituenti si rivolteranno nella tomba, ne cito alcuni, forse i più noti, nella speranza che sia io, tu ed altri li possiamo ricordare.
Presidenti Giuseppe Saragat, Umberto Terracini.
Vice Presidenti Gianbattista Bosco Lucarelli, Giovanni Conti, Achille Grandi, Giuseppe Micheli, Fausto Pecorari, Ferdinando Targetti, Umberto Terracini, Umberto Tupini.
E i più noti;
Luigi Einaudi, Amintore Fanfani, Benedetto Croce, Nilde Iotti, Ugo La Malfa, Giorgio La Pira, Paolo De Michelis, Ugo Della Seta, Giancarlo Matteotti, Giovanni Leone, Alcide De Gasperi, Arturo Labriola, Guido Basile e tutti gli altri.
Fonte, Google+: Stefano Pituello
Le banche stanno mettendo le mani su ogni aspetto della vita degli italiani, dalla previdenza alla Sanità, dalla casa ai capannoni industriali. Il tutto grazie agli ‘aiutini‘ del governo. Le banche sono cambiate: si occupano di tutto, vendono case, telefonini, persino pentole. E se i consumi e l’economia non ripartono, almeno gli istituti di credito sono tranquilli. Siete voi che vi trovate nei guai. Fidatevi di Nessuno.
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