Marco Birolini, martedì 31 marzo 2020
Picchi di polmoniti anomale già a gennaio in diversi centri della provincia, da Martinengo a Nembro Le denunce di medici di base e sacerdoti: il contagio girava già da Natale.
Già nel mese di gennaio, a partire dal periodo post-natalizio, in Bergamasca si sarebbe registrato un numero atipico di broncopolmoniti e polmoniti interstiziali. Certificate da un vero boom di radiografie al torace, prescritte con una frequenza «mai verificatasi in precedenza». Anzi, addirittura già «da metà dicembre vari pazienti si presentavano con febbri anomale, tra 37.5 e 40 gradi, tosse, perdita di olfatto e sintomi gastroenterici».
Lo denuncia Pietro Poidomani, da 35 anni medico di base di Cividate al Piano, piccolo paese di 5mila abitanti nella Bassa bergamasca, al confine con Brescia. Qui ci sono stati «33 morti nel giro di un mese, quando di solito in un anno ce ne sono al massimo 50», racconta il medico.
Era il primo vero focolaio di coronavirus, che avrebbe potuto essere circoscritto con grande anticipo su Codogno? Il dottor Poidomani ora è in convalescenza. Ricorda di essersi svegliato lunedì 2 marzo «con un peso incredibile sul torace. Un dolore intenso, dopo che avevo avuto qualche linea di febbre il sabato». Il dottore va in pronto soccorso a Romano di Lombardia: dopo la radiografia, prima ancora del tampone, decidono di isolarlo. Il verdetto è scontato: Covid-19. Undici giorni di ricovero con ossigeno e trattamento farmacologico (plaquenil e antivirali), poi la dimissione. «Forse potevano tenermi là ancora qualche giorno, ma serviva- no letti. Ora mi sto curando a casa, sto meglio».
Mentre parla con Avvenire, non riesce a trattenere qualche colpo di tosse secca. La stessa che aveva riscontrato nei suoi pazienti over 65 a gennaio. «Arrivavano tutti questi anziani con sintomi da complicanza post influenzale: febbre e tosse insistente. Strano, perché erano quasi tutti vaccinati. Ne parlai con alcuni colleghi, tutti avevano constatato gli stessi problemi. Ipotizzammo addirittura che il vaccino non avesse attecchito».
Non solo Cividate, dunque, ma anche i paesi limitrofi contano diversi malati anomali: Martinengo, Ghisalba, Palosco. Poidomani prescrive radiografie al torace per capire il perché di questi sintomi. In un numero assolutamente inconsueto. «Tra i primi di gennaio e il 21 febbraio, vigilia del primo caso di Covid-19 a Codogno, ne avrò richieste almeno cinquanta, tutte per lo stesso motivo. E nel 70-80% dei casi il referto evidenziava addensamenti, cioè focolai di broncopolmonite o di polmonite interstiziale». Il dottore non può evitare di farsi una domanda: «Possibile che nessuno si sia accorto di questo eccesso di radiografie al torace? Forse in Ats o in Regione sarebbe potuto suonare un campanello d’allarme. Erano segnali precisi, anche perché l’epidemia in Cina era in quel momento nel suo pieno. Nessuno però ha pensato di sottoporre a tampone chi era risultato positivo alla rx o alla tac».
Ieri sera Avvenire ha girato il quesito di Poidomani all’Azienda di tutela della salute della provincia di Bergamo per gli approfondimenti del caso.
Vale la pena sottolineare che a inizio anno segnali inquietanti arrivarono anche dalla val Seriana, divenuta poi epicentro del contagio. Intervistato nei giorni scorsi da Mario Calabresi, ex direttore di Repubblica, un prete di Nembro, don Matteo Cella, ha rivelato: «Secondo noi questo virus gira dall’inizio dell’anno o addirittura da Natale, senza essere stato riconosciuto. La casa di riposo di Nembro, per prima, ha avuto un picco di decessi anomalo: a gennaio sono morte di polmonite 20 persone. In tutto il 2019, lì, i morti erano stati 7». Perché non sono stati notati questi segnali? Con il “senno del poi” parlare è certamente facile, perché indiscutibilmente il virus ha colpito con violenza e all’improvviso nella profonda provincia lombarda, dove meno ce lo si aspettava.
Ma secondo Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo, «è un’impressione diffusa che a gennaio ci fossero più polmoniti interstiziali del normale. Il fenomeno però non è stato rilevato. Il problema è che negli ultimi anni ci si è dimenticati dell’igiene pubblica, e di quei servizi che avevano permesso di debellare tante malattie infettive. Oggi l’attenzione è focalizzata solo sugli ospedali, ma è venuta meno la prevenzione. È come per la diga del Vajont. Bella e solida. Tuttavia ci si dimenticò del rischio che la montagna franasse. Qui è accaduta la stessa cosa: la montagna è venuta giù e l’ondata di piena ha travolto tutto. Vanno benissimo gli ospedali di eccellenza, ma c’è poca sorveglianza del territorio». Marinoni spiega che questo è stato uno dei fattori che hanno innescato il disastro bergamasco, insieme a quanto accaduto nell’ospedale di Alzano, alla mancata zona rossa, ai medici mandati a visitare senza protezioni e alla ritardata chiusura dei centri diurni delle residenze per anziani. La conclusione è amara. «Non so se si potesse fare meglio. Di sicuro è stato fatto tutto quello che non si doveva fare».